Fantasma del catasto
SUNIA informa
La riforma, raccomandata da Bruxelles, è una delle condizioni per ottenere i fondi Ue per la ripresa post virus (Pnrr)
Rendite inadeguate. Un piano a tappe per rivederle (senza super tasse) Corriere della sera economia – lunedì 20 settembre
Capita spesso di vedere case non finite. Scheletri di cemento, spuntoni d’acciaio. Non raramente in luoghi bellissimi lungo le coste, specie al Sud. Non le abita nessuno. Non essendo completate, senza tetto, non compaiono nelle mappe catastali. Ma esistono, eccome. Il viaggiatore, ma non solo lui, preferirebbe che venissero terminate e avessero una qualche utilità civile. Oppure abbattute perché molte sono semplicemente abusive. Ma che restino così no. Uno sfregio all’ambiente. Poi ci sono case che sono abitate, a volte sovraffollate, ma ugualmente fantasma. Sfuggite ai piani urbanistici, ammesso che ve ne siano di realmente applicati. Chiamarlo abusivismo di necessità non serve a nulla. Identifica il problema sociale che la pandemia ha purtroppo accresciuto, ma non agevola alcuna soluzione. Anzi la ostacola. Una tolleranza ipocrita esposta all’effetto imitazione.
I dati
Un Paese civile affronta il disagio abitativo senza incoraggiare «per necessità» le violazioni delle sue leggi. Ma esistono anche aree montane abbandonate. Proprietà incerte o irreperibili. Senza manutenzione sono più vulnerabili al fuoco. Prive di cura non creano né reddito né occupazione. Compaiono sulle mappe ma è come se, nella realtà, fossero state cancellate. Il fenomeno è molto diminuito dopo che nel 2012 — come segnalava Saverio Fossati sul Sole 24 ore — una ricognizione aerea del territorio nazionale, svolta da Agea, ha fatto emergere 1,2 milioni di immobili abusivi, costruiti dal 1939 in poi, che sono stati successivamente in massima parte regolarizzati. L’Agenzia delle Entrate e Riscossione, che ha ereditato le competenze di quella del Territorio, ogni mese mette a disposizione dei comuni la banca dati e le planimetrie sulla base dei dati forniti dai proprietari. Nonostante ciò — come segnalato da Massimo Baldini, Silvia Giannini e Simone Pellegrino su Lavoce. Info — 2,1 milioni di immobili risultano al catasto ma non nelle dichiarazioni dei contribuenti. Ora è semplicemente paradossale che, nell’era della mappatura digitale al millimetro del territorio e del riconoscimento facciale, l’Italia non possieda un catasto moderno e aggiornato, nonostante glielo chiedano l’Unione europea e l’Ocse. La riforma rientra poi nelle raccomandazioni di Bruxelles, il rispetto delle quali è essenziale per ottenere i fondi europei del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Non lo fa, o meglio non ha il coraggio di farlo, perché quello del catasto è un fantasma politico.
La storia
Lo era persino ai tempi di Maria Teresa d’Austria, cui si deve nel Settecento l’innovazione del catasto milanese, geometrico e particellare, avversato dalle grandi famiglie dell’epoca. Meglio rimuovere il problema. Non esiste argomento più tabù. Il governo era deciso a inserire il riordino progressivo degli estimi nella delega fiscale, in origine all’ordine del giorno del consiglio dei ministri di giovedì scorso, ma si è fermato davanti alle riserve dell’intera maggioranza. In particolare della Lega, ma non solo. La paura che la riforma del catasto — la distinzione tra immobili ordinari e speciali con elenco a parte per quelli storici — significhi più tasse sugli immobili, a maggior ragione a poche settimane dal voto in molti Comuni, ha unito tutti. Un miracolo. Massimo Bitonci, sottosegretario leghista all’Economia, ha parlato addirittura di rincari oscillanti tra il 30 e il 40 per cento. Eppure, almeno nello schema originario, la revisione non dovrebbe produrre alcun immediato aggravio fiscale, essendoci un lungo periodo di adattamento da tre a cinque anni. L’aggiornamento degli estimi richiede un tempo congruo. La rivalutazione delle rendite e il passaggio nel loro calcolo dai vani ai metri quadrati, esporrebbe comunque in prospettiva i proprietari, soprattutto per le seconde case, ad eventuali rincari dell’Imu che però sarebbero compensati da una riduzione delle addizionali Irpef. Ma non vi è materia, come questa — al pari dello Statuto del contribuente — nella quale le promesse di invarianza di gettito non siano proverbialmente meno credibili di quelle di un marinaio. I tentativi di riordino (tanti) o sono finiti nelle secche dello scontro politico o in provvedimenti rimasti sulla carta. L’articolo 3, comma 154 della legge, allora Finanziaria, approvata il 23 dicembre del 1996, disponeva «la revisione della disciplina relativa al sistema estimativo del catasto dei fabbricati in tutto il territorio nazionale, attribuendo a ciascuna unità immobiliare il relativo valore patrimoniale e la rendita». Quella delega fu solo parzialmente attuata con il Dpr 138 del 1998, rimasto a sua volta largamente lettera morta. Poi intervenne un’ulteriore delega con la legge 133 del 13 maggio 1999 (articolo 18) che modificava al margine i criteri di revisione delle rendite fissati in precedenza. Una delega che smentiva un’altra delega. Grande confusione, conseguente paralisi. «In una materia così complicata ed esposta a posizioni strumentali o a paure irrazionali — commenta Andrea Ferri, responsabile della finanza locale dell’Anci, l’Associazione nazionale dei Comuni, i più interessati al riordino — è necessario un meccanismo di assoluta e trasparente gradualità. È vero che esiste l’appartamento in piazza Navona a Roma che è ancora accatastato A5 come fosse una stamberga, e in questo caso è come se il proprietario godesse di un bonus, ma ci sono anche tante case periferiche che, secondo gli estimi, valgono più dei prezzi di mercato. La strada migliore da seguire è quella di un adeguamento graduale delle rendite nel tempo, sia al rialzo sia al ribasso».
Il metodo
Ora si tratta però di scattare, finalmente una fotografia attendibile, del patrimonio immobiliare degli italiani. Dopo le perplessità espresse dai partiti, il governo sembra disposto a separare la ricognizione di immobili e fabbricati dalla revisione delle rendite. Ma prima o poi, magari con un emendamento alla delega fiscale in sede parlamentare, il problema di un aggiornamento, in su e in giù, delle rendite catastali ai valori di mercato, si dovrà comunque fare. Non è mai esistito momento più favorevole di questo — in particolare con tanti incentivi fiscali sull’ammodernamento degli stabili e sulla loro sostenibilità ambientale — per affrontare lo spinoso tema della revisione delle rendite catastali. Corrado Sforza Fogliani, presidente della Confedilizia, che riunisce i proprietari, non è contrario. In un articolo sul Sole 24 Ore, distingue fra un catasto patrimoniale — che caratterizzò quelli degli stati pre-unitari — e uno reddituale, come si fece nell’epoca liberale, ovviamente propendendo per quest’ultimo, che a suo giudizio promuoverebbe gli investimenti in manutenzione.